“Il Piano ha indubbiamente diversi meriti. Apprezziamo molto l'adozione del modello biopsicosociale e dell’approccio "One Mental Health" come paradigma di riferimento. Affronta in modo articolato criticità che noi stessi avevamo evidenziato nel corso delle audizioni condotte dal Tavolo di lavoro istituito presso il Ministero, come la necessità di maggiori sforzi per l’infanzia e l’adolescenza e l'importanza delle fasi di transizione. È anche meritoria l'attenzione alla gestione degli autori di reato e al rafforzamento delle REMS (Residenze per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza), nonché all'impegno per la sicurezza di pazienti, operatori e comunità".
Quindi un giudizio positivo?
“Solo in parte. Come rappresentante di cooperative socio-sanitarie, abbiamo analizzato con grande attenzione il tema dell'integrazione tra servizi. Sottoscriviamo appieno la visione del Piano sulla "recovery": la cura non si esaurisce nel trattamento terapeutico, ma deve includere percorsi per recuperare l’autonomia personale, relazionale e lavorativa, da attuarsi nella comunità con progetti personalizzati. In questo senso, apprezziamo il riconoscimento esplicito del ruolo del Terzo Settore”.
Dunque, qual è il problema?
“Il problema è che, a fronte di una grande enfasi su leve fondamentali come l'abitare, il lavorare e il relazionarsi, non si riscontra un'analoga valorizzazione delle strutture deputate agli interventi terapeutici e riabilitativi che sono la base per attivare quei percorsi. Manca, in particolare, una riflessione sul ruolo specifico delle Comunità Terapeutiche”.
Perché le Comunità Terapeutiche sono così importanti?
“Le Comunità Terapeutiche non sono semplici luoghi di assistenza. Sono ambienti terapeutici complessi, nati dalla Legge 180, dove la dimensione clinica si intreccia con quella riabilitativa e sociale. Al loro interno si realizzano progetti terapeutico-riabilitativi personalizzati (PTRI) finalizzati all’attivazione di processi di cura e di reinserimento. Hanno una storia ultra trentennale e hanno dimostrato una grande efficacia nel trattamento dei disturbi mentali gravi, specie tra i giovani adulti. Sono spesso gestite da cooperative: sono quindi aggregazioni di professionisti sanitari e sociali di alto profilo, accreditate con il SSN, e rappresentano un soggetto d’elezione per declinare il modello di recovery in modo organico”.
Come aggiustare il tiro? Cosa chiede concretamente Confcooperative?
“Chiediamo di colmare questa grave lacuna. Rischiamo di marginalizzare un modello che ha dato prova di efficacia, in un momento in cui, peraltro, le normative regionali tendono a "sanitarizzare" eccessivamente gli interventi. Siamo pronti a collaborare con le istituzioni per un giusto riconoscimento del ruolo di queste strutture, che tanto hanno contribuito e contribuiscono alla tutela della salute mentale dei cittadini più fragili del nostro Paese. Il Piano non può ignorarle”.
on può ignorarle”.
Alessandra Fabri