Il conto alla rovescia è iniziato. Il 14 settembre 2025 rappresenta una data spartiacque per il sistema dell'antiviolenza italiano: scade infatti il periodo transitorio di 36 mesi concesso per l'adeguamento ai nuovi requisiti minimi stabiliti dall'Intesa del 14 settembre 2022. Una scadenza che rischia di trasformarsi in una bomba sociale, con potenziali ripercussioni drammatiche su migliaia di donne e minori vittime di violenza.
L'analisi dei dati disponibili restituisce un quadro allarmante. Solo le cooperative sociali di Confcooperative che operano nel settore dell'antiviolenza assistono attualmente oltre 3.000 persone tra donne e minori vittime di violenza e abusi, rappresentando una quota significativa del già fragile tessuto dei servizi di protezione e di ascolto. Complessivamente sono tra le 65.000 e le 67.000 le persone prese in carico. L’esclusione delle cooperative dal sistema aprirebbe voragini, in un paese dove i centri antiviolenza sono già ridotti all'osso. Comporterebbe la perdita di punti di riferimento di prossimità territoriale, soggetti portatori di buone prassi, dalla prima difficile accoglienza alla possibilità di recupero di una vita libera e piena.
L'Intesa del 14 settembre 2022 ha introdotto nuovi requisiti per centri antiviolenza e case rifugio, la storicità e continuità del servizio e lo scopo sociale prevalente, modificando i parametri del 2014. Il periodo transitorio, inizialmente fissato in 18 mesi, è stato successivamente esteso a 36 mesi proprio per consentire un adeguamento graduale. Molte cooperative denunciano criticità e difficoltà burocratiche per i nuovi standard, che rischiano di penalizzare realtà con comprovata esperienza sul campo.
La conseguenza dell’applicazione dei requisiti rivisti è un possibile vuoto di servizi proprio nelle aree geografiche dove la presenza di alternative è più limitata. Ma non solo, poiché l'impatto varierà significativamente tra territori. Nelle regioni meridionali e nelle aree interne, dove la rete dei servizi antiviolenza presenta già significative lacune, la perdita di operatori storici potrebbe determinare veri e propri "buchi neri" nell'assistenza. Nelle aree metropolitane del Nord, dove l'offerta è più diversificata, l'effetto potrebbe essere più contenuto, ma comunque significativo in termini di qualità e continuità dei servizi. Il paradosso è evidente: mentre l'Istat certifica un incremento costante delle richieste di aiuto ai centri antiviolenza il sistema rischia di perdere operatori storici e consolidati proprio nel momento di maggiore necessità.
Dal punto di vista economico, l'esclusione delle cooperative comporterebbe una dispersione di competenze e investimenti accumulati in anni di attività. Molte di queste realtà hanno sviluppato metodologie specifiche, formato personale specializzato e costruito reti territoriali che rappresentano un patrimonio difficilmente replicabile in tempi brevi.
Il costo sociale sarebbe ancora più drammatico. Le 3.000 persone attualmente seguite dalle cooperative a rischio si troverebbero improvvisamente prive di riferimenti consolidati, costrette a rivolgersi a strutture alternative spesso già sature o, nel peggiore dei casi, a rinunciare completamente al supporto. Uno scenario che contrasterebbe frontalmente con gli obiettivi della Convenzione di Istanbul e con le direttive europee sulla protezione delle vittime di violenza di genere.
Il rischio è quello di azzoppare il sistema antiviolenza determinando una copertura territoriale insufficiente. Un trade-off che, in un settore dove ogni ritardo può costare vite umane, appare particolarmente problematico. Di fronte a questo scenario proponiamo, in primo luogo, un ulteriore periodo di transizione. Una proroga che consenta un dialogo approfondito tra le parti coinvolte, e si ritiene fondamentale e necessario una revisione delle nuove norme, eliminando il requisito dell’esclusività o prevalenza dell’attività con la possibilità di aggiustamenti in corso d'opera per evitare effetti indesiderati sulla copertura territoriale dei servizi.
La posta in gioco è alta: il sistema dell'antiviolenza italiano, già sotto pressione per la crescente domanda di aiuto, non può permettersi passi falsi che compromettano la protezione di migliaia di donne e minori. La sfida del 14 settembre rappresenta un test cruciale per la capacità del paese di tutelare efficacemente le vittime di violenza, senza lasciare indietro nessuno.
Laura Viviani